Sfide del lavoro post digitale

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Nella nostra storia, secondo Vilém Flusser¹, “sono osservabili due cesure fondamentali. La prima, verificatasi verso la metà del secondo millennio a. C., si può riassumerla sotto la voce <invenzione della scrittura lineare>; la seconda, cui stiamo assistendo, sotto la voce <invenzione delle immagini tecniche>”. Infatti, quante foto facciamo al mondo in un solo giorno? 40.000.000.000 (senza contare quelle fatte dalle macchine). Troppe? È una stima del 2017². Invece nel 2019 è stato calcolato che di foto ne abbiamo scattate 1,42 triliardi³. E dove vanno tutte queste foto? Molte risalgono nei cloud e da lì diventano cibo per l’intelligenza artificiale, che per il suo sviluppo è voracissima d’immagini, anche se ancora e per ora dipende da noi per la loro codifica ed organizzazione semantica.

Soffermiamoci sulla connessione tra intelligenza artificiale e riconoscimento facciale (cioè l’identificazione di un pattern cui segue una serie di decisioni) e vedremo, è il caso di dirlo, quanto le immagini tecniche sono fulcro del nostro presente e probabilmente del futuro, anche geopolitico⁴, del lavoro. Tutto questo che cosa significa oggi per noi?

Cari lettori che come me v’interrogate sui modi di lavorare, il mondo intorno a noi continua a cambiare velocemente ed in modo a volte inaspettato, perciò piuttosto che andare diretto alla risposta a questa domanda, preferisco condividere con voi alcuni quesiti che fanno da corollario ad essa, nella speranza che li troverete interessanti al punto da rispondere; perché mi piacerebbe stabilire con voi e le vostre esperienze un metodo semplice⁵ di dialogo per essere innovativi assieme nella riflessione sulle sfide del lavoro post digitale.

Abbiamo inventato prima il fuoco o le armi? La parola arma potrebbe derivare dal latino armus (armòs, in greco) che significa “omero” o “braccio. Perciò, possiamo azzardare che per prima cosa abbiamo creato estensioni funzionali del nostro corpo. Ma opinione prevalente è che ambedue le invenzioni risalgano al paleolitico inferiore. In ogni caso, da quel tempo in avanti abbiamo imparato che le nostre capacità fisiche o psiche venivano potenziate dall’uso di strumenti, che potevamo creare noi stessi! Questa consapevolezza si è rivelata particolarmente utile nelle fasi di pericolo o di transizione. Ecco, quindi, la prima questione: concorderesti, caro lettore, se dicessimo che la capacità di integrazione corpo-strumento è una di quelle che ci fa particolarmente umani?

Secondo problema: Stiamo assistendo a tanta discussione circa il fatto se in questo periodo di distanziamento dagli altri chi ha potuto lavorare da casa lo abbia fatto in smart working oppure no. Vi confesso che a me questo dibattito pare da rifocalizzare. Infatti, se lo smart working serve ad assicurare la produttività personale, coniugandolo con l’adattamento alle diverse esigenze individuali e quindi uscendo da protocolli consolidati, direi che abbiamo lavorato in smart working. Ma forse dovremmo cominciare a chiederci se in queste settimane attraverso lo smart working non abbiamo piuttosto partecipato al più grande percorso di ridefinizione del modo di lavorare a livello planetario. Per altro identificando per fatti concludenti tutti quei lavori che ad oggi si possono davvero fare in qualsiasi posto in qualsiasi momento. Per rispondere a questa domanda forse occorre un po’ più di tempo che non per rispondere alla prima e come viatico mi fa piacere

indicarvi una lettura intitolata “I filosofi del contagio” che troverete a questo link https://www.laciviltacattolica.it/articolo/i-filosofi-del-contagio/ .

Terza domanda, che porta in sé un paradosso: quanto è importante nel lavoro in distanziamento spaziale la capacità del singolo di creare collegamenti? Secondo me, moltissimo; infatti, con questa capacità possiamo compensare la riduzione della prossimità fisica. Peraltro, nel lavoro che stiamo sperimentando, proprio perché coinvolge contemporaneamente la maggioranza e non piccoli gruppi, la carenza di collegamenti può essere mitigata assai poco dall’appartenenza ad un gruppo o dall’ esercizio della gerarchia, cioè né la funzione né il capo posso sopperire all’incompetenza nel singolo. Il lavoratore in distanziamento fisico si trova ora non in un luogo reale, ma sulla piattaforma di uno spazio digitale, dove non è possibile essere presenti occupando un pezzo di terra, ma dove occorre essere rilevanti rispetto ad un flusso informazionale attuale o potenziale (il lavoratore postdigitale è uno degli Inforg di cui scrive Luciano Floridi⁶). In questa scena il lavoro individuale genera valore non nella relazione bidimensionale capo collaboratore, ma in quella multidimensionale dei collegamenti in rete. Il lavoro post digitale enfatizza gli aspetti relazionali del lavoro, ma disaccoppiandoli dalla prossimità li colloca nella dinamica del funzionamento di internet ed in particolare nella logica di un sistema di nodi (o hub) in continua espansione. Quindi, il valore del lavoro post digitale è una funzione di quanto il suo contenuto riesce a raggiungere o attrarre altri contenuti. Le forze che determinano questo effetto di attrazione del lavoro non sono, ahimè, dipendenti dalla qualità del suo contenuto o prodotto ma dalla sua qualità relazionale e conseguentemente dalla capacità del singolo lavoratore di generare connessioni. Quali competenze sono presupposte e richieste da questa capacità individuale? Per me, come singolo penso a digital workability, competenze base di cybersecurity, saper collaborare con il resto del gruppo, saper collaborare ed interagire con il capo, mantenere il focus sia sul risultato sia sulla relazione, sapere proteggere il mio work-life balance, avere eccellenti conoscenze specialistiche; mentre come leader non dovrei rinunciare a sviluppare appunto una leadership a distanza e a mantenere l’attenzione ai sovraccarichi cognitivi o emozionali delle persone per le quali sono responsabile.

Che ne pensate cari lettori?

¹ V. Flusser, Per una storia della fotografia. 

² V. https://techboom.it/quante-foto-scattiamo-allanno/amp/

³ V. https://www.lucacazzaniga.it/fotografia-cellulare/quante-foto-sono-state-scattate-negli-ultimi-anni/

⁴ V. S. Pieranni, Red mirror

⁵ V. https://www.digital4pro.com/2020/06/16/il-valore-di-un-metodo/

⁶L. Floridi, Philosophy and Computing: an introduction; L. Floridi, The Fourth Revolution: How the Infosphere is Reshaping Human Reality.

 

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