Cari lettori, se mi concedete una pausa lungo il percorso sul welfare occupazionale, vi racconterò il breve scambio d’idee avuto con la mia collega Francesca mentre ci avvicinavamo al primo anniversario del lavoro agile semplificato.
Io: Francesca, con quante ne abbiamo viste e fatte nell’ultimo anno, secondo te quali sono le sfide che HR sta affrontando dall’inizio della pandemia?
Francesca: Dici bene “sfide”, in effetti sono tante. La principale sfida è sostenere l’evoluzione della cultura organizzativa. Infatti, col ridimensionamento della prossimità e conseguentemente del presenzialismo diventa urgente aggiornare i modelli manageriali e i sistemi premianti e pure il valore dato ai comportamenti incentrati sull’inclusione e l’empatia.
Specialmente inclusione ed empatia andranno sia ripensati sia rinforzati proprio per assicurarsi che l’organizzazione dia risposte coerenti al mutato contesto. Inoltre, HR può supportare l’evoluzione del footprint organizzativo, perché se l’azienda aveva un’organizzazione coerente con l’ecosistema di stakeholder dello status quo ante pandemia non è detto che l’abbia per il “post”.
Ecco, la sfida di HR è essere un partner strategico che aiuti a identificare sia le competenze necessarie nel “dopo” sia i percorsi per portare in azienda chi può assicurare queste competenze.
Io: Eh sì, c’è stato un prima e avremo un dopo; ma quali sono i principali cambiamenti da affrontare nella riorganizzazione digitale del lavoro? Ci dobbiamo trasformare in angeli della tecnologia?
Francesca: Non serve, la tecnologia digitale è sempre più ubiqua e accessibile. In pandemia abbiamo raggiunto, mediamente, la capacità di disaccoppiare il lavoro dai luoghi di lavoro. Sicuramente, alcuni micro-comportamenti, come per esempio quelli riguardanti la gestione documentale, si sono evoluti. Tuttavia, il posto di lavoro è anche uno luogo di scambio, apprendimento, team building, aiuto reciproco, sviluppo di consapevolezza del proprio valore e di quanto si può migliorare. Perciò, riorganizzarlo è il cambiamento prossimo venturo per antonomasia e per non rischiare un arretramento dobbiamo lavorare a “rigenerare” i luoghi di lavoro e contemporaneamente sviluppare nuove competenze per creare reti di inclusione che reggano al distanziamento. HR farà meglio ad abbondare il paradigma che privilegia i modelli di leadership incardinati su coordinamento e controllo e cercarne di nuovi “quantistici” e antifragili che ammettano che la libertà dei membri della squadra/comunità è un abilitatore del risultato atteso.
Io: Se questo è il cambiamento da fare, quali sono i modelli e gli strumenti da impiegare?
Francesca: I luoghi di lavoro dematerializzandosi diventano “piattaforme” di collaborazione che spostano il lavoro nell’infosfera. Con questa prospettiva la disintermediazione e tutte le scelte di HR per sburocratizzarsi sono da ricercare e realizzare. P.e. scegliere metodologie e soluzioni tecnologiche che consentono alle persone di gestire la collaborazione verso un obiettivo condiviso in autonomia dai leader, a loro volta veramente responsabilizzati per lo sviluppo della squadra e non solo dei risultati della Funzione. Un altro esempio possono essere gli strumenti di realtà aumentata per facilitare lo scambio di sapere, ma anche il lavoro di squadra, l’empatia e l’inclusione. Ancora un esempio, le piattaforme di formazione a distanza con simulatori e avatar. Se puntiamo all’eccellenza, cercare modelli di management aperti anche alle applicazioni delle neuroscienze e della big data analysis. Infine, il ripensamento della prossimità in azienda, da un lato amplierà la scelta di persone che possono essere assunte ma, dall’altro, aumenterà la competizione tra chi le vuole, perché i candidati simmetricamente avranno più datori di lavoro ai quali rivolgersi. Ne consegue che l’employer branding e i dispositivi di compensation e la capacità d’inclusione saranno ancora più importanti di oggi per riuscire ad avere a bordo le persone giuste e con la giusta remunerazione. Sì, anche qui occorrerà essere parecchio innovativi.
Io: Francesca, quello che abbiamo chiamato smart working è una scelta vincente?
Francesca: Le tecnologie di digitalizzazione della gestione dell’attività lavorativa sono efficaci se e solo se coerenti col modello organizzativo e coi processi che supportano e se questi a loro volta tengono conto della necessità di aggiornare le competenze delle persone. Quindi, qualsiasi livello di digitalizzazione immesso in un sistema che non è già orientato ad adottare le tecnologie digitali in una prospettiva di capability approach non modificherà la pretesa del sistema stesso di coordinamento e controllo assoluti (nell’illusione che i processi pre-esistenti garantiscano il risultato voluto) né potrà assicurare le condizioni di accesso alle risorse che mettono in condizione il singolo di contribuire al successo del gruppo, con l’effetto di generare incompetenza nelle persone. Perciò, quello che abbiamo chiamato smart working funziona se lo adotti come modalità per facilitare i membri della tua comunità nell’essere attivi e produttivi nel rispetto del proprio ecosistema creando valore condiviso e non meri risultati aziendali.
Io: Francesca, che dire? COVID-19 ha messo il turbo al cambiamento di HR.
Francesca: Sì, è tempo che HR metta il turbo.
Cari lettori, come intuite Francesca ha le idee chiare ed è veloce. Con pochi tratti ci ha indicato il futuro imminente. Per parte mia, mi preparo a riprendere con voi la trattazione del welfare occupazionale nel prossimo post. Vi aspetto!