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Il clima organizzativo: Cos’è e come analizzarlo

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1          Cos’è il clima organizzativo

Il clima viene inteso come insieme di percezioni, credenze e sentimenti che i lavoratori elaborano rispetto alla loro organizzazione e rappresentano lo sfondo sul quale si delineano le valutazioni specifiche sul proprio lavoro che determinano la vera e propria soddisfazione lavorativa.

Generalmente si propongono immagini mitigate del clima nella sua accezione originaria mentre, nella realtà, quando si parla di clima organizzativo, molto spesso lo si fa in seguito alla messa in evidenza di problemi, difficoltà o preoccupazioni tra persone che lavorano nella stessa organizzazione e che pertanto dovrebbero condividere i medesimi obiettivi.

 

Figura 1 – Mario Bassini [Fonte: utrain.it].

 

Come posto in evidenza da Azzariti, Bassini e Novello (2009) nel loro libro “Ma che freddo fa. Appunti, esperienze, evoluzioni in tema di meteorologia organizzativa”, la denominazione di clima organizzativo di determinate dimensioni degli ambienti lavorativi, probabilmente deriva dal fatto che sono proprie dei linguaggi comunemente utilizzati nelle aziende, similitudini o metafore meteorologiche del tipo “che aria pesante c’è stamattina” o anche “capo che ha il calore di un ghiacciolo” o ancora “autunno caldo”.

 

Figura 2 – Ferdinando Azzariti [Fonte: ilpiave.it].

 

Se però, nel suo significato più diffuso, il concetto di clima viene associato alle condizioni atmosferiche e meteorologiche, che risultano essere ben definite per gli esperti del settore, non appare altrettanto immediata la definizione di clima organizzativo.

La mancanza ad oggi di una definizione omogenea di clima organizzativo risulta senz’altro curiosa, dato che i primi studi in tale ambito risalgono ai primi anni Sessanta. Il concetto di clima organizzativo ha da sempre suscitato un certo interesse da parte di molti studiosi dell’ambito organizzativo. Se infatti paragonato ad altri aspetti caratteristici di gruppi organizzati, rimane tra quelli le cui teorie hanno radici più vetuste.

Molte di queste teorie sono dovute a contributi della psicologia sociale che, sin dagli inizi, si è occupata di cosa potesse influenzare il comportamento degli individui in un determinato contesto organizzato al fine di favorire la concettualizzazione di fenomeni come il clima all’interno delle organizzazioni.

Secondo Vincenzo Spaltro, quando si tenta di diagnosticare le organizzazioni come fatto psicologico, cioè soggettivo, si vuole aggiungere un contributo analizzando dimensioni tradizionalmente trascurate e quindi ancora tutte da scoprire.

 

Figura 3 – Vincenzo Spaltro [Fonte: universitadellepersone.it].

 

Analizzare e monitorare il clima in un’organizzazione è essenziale al fine di registrare le evoluzioni nella vita organizzativa, nonché nelle percezioni della stessa. Alcuni studi dimostrano la rilevanza di questo tema grazie a buone conoscenze delle pratiche di gestione delle risorse umane altri, invece, approcciano a tali pratiche ricorrendo all’analisi di problemi effettuata nella sfera del clima organizzativo.

Del clima lavorativo sono state proposte due declinazioni che hanno tentato di fare chiarezza sulla definizione di un costrutto sotto certi aspetti ambiguo: il clima psicologico e il clima organizzativo.

L’equivocità del costrutto può riconoscersi nel fatto che, nel tempo, alcuni teorici lo hanno descritto come un vero e proprio connotato organizzativo pur ricorrendo, nell’esposizione del concetto, ad elementi puramente attinenti le percezioni individuali delle persone coinvolte. Le declinazioni, il clima organizzativo ed il clima psicologico, costituiscono un primo tentativo di indagine di cosa effettivamente si intenda quando si parla di atmosfera all’interno di un’organizzazione.

 

Figura 4 – Don Hellriegel [Fonte: acbv.org].

 

Secondo Don Hellriegel e John W. Slocum, il clima psicologico si concretizza nell’analisi delle dimensioni climatiche a livello individuale, mentre il clima organizzativo vero e proprio è preso in considerazione quando le rilevazioni e le misurazioni sono svolte a livello di gruppo, se non di intera organizzazione.

 

Figura 5 – John W. Slocum [Fonte: smu.edu].

 

Più nello specifico, secondo A. Jones e L. James vengono presi in considerazione per l’analisi dei climi psicologico ed organizzativo, rispettivamente attributi individuali e attributi organizzativi.

 

2          Come analizzare il clima organizzativo

Quando si parla di Risorse Umane che operano all’interno di un contesto organizzativo aziendale si è portati a pensare ad esse come elemento chiave che contribuisce in maniera determinante al raggiungimento degli obiettivi perseguiti dall’azienda.

Si pensa altresì alle Risorse Umane come fattore generatore e propulsore di innovazione e cambiamento, indispensabile nel mondo economico-finanziario odierno fortemente concorrenziale.

L’organizzazione è gestita dalle persone che la compongono: da esse viene interpretata e percepita in maniera soggettiva, da esse viene subita e al contempo modellata.

L’organizzazione e le persone che vi operano costituiscono quindi un unico inscindibile, parte di un complesso sistema interattivo in continuo divenire, riconducibile ad una dinamica cognitiva scompositiva e ricompositiva del fenomeno organizzativo attraverso cui i dipendenti cercano di mettere a fuoco le ricorsività, le regolarità, le ritualità, le novità, ma anche le singolarità dell’agire quotidiano nel tempo e in rapporto a specifiche circostanze e condizionamenti.

Il clima aziendale ne costituisce un primo e fondamentale mediatore della transattività persona-organizzazione e assume una centralità nella ricerca di attribuzione di significati.

Per questo motivo assistiamo negli ultimi anni ad un rinnovato interesse per questo tema. Il clima viene inteso come insieme di percezioni, credenze e sentimenti che i lavoratori elaborano rispetto alla loro organizzazione e rappresentano lo sfondo sul quale si delineano le valutazioni specifiche sul proprio lavoro che determinano la vera e propria soddisfazione lavorativa.

Le organizzazioni stanno acquisendo una crescente consapevolezza del fatto che un buon clima aziendale è uno degli elementi/fattori che contribuiscono a migliorare e favorire la qualità complessiva degli ambienti di lavoro e pertanto ad aumentare il commitment dei propri dipendenti.

Il clima aziendale, composto da un insieme di dimensioni, è un fenomeno complesso costituito da diverse variabili, correlate tra di loro in maniera non lineare cosicché misurare il clima significa dare un valore analitico alle dimensioni, fare una fotografia istantanea di un certo momento organizzativo. In altre parole, una survey fornisce uno strumento sia di analisi che di coinvolgimento poiché è necessario tenere a mente che la misurazione viene percepita solitamente anche come segnale di ascolto e interessamento da parte del management.

Il clima ha un’incisività peculiare in qualsiasi realtà organizzativa e ha effetti rilevanti sulla capacità dell’organizzazione di impiegare e sfruttare al meglio le risorse tecniche e umane; vale a dire un buon clima organizzativo contribuisce positivamente al conseguimento da parte delle organizzazioni dei propri obiettivi strategici e come affermano già nel 1969 Friedlander e Margulis “la capacità tecnica è un aspetto essenziale per il successo di un’organizzazione, ma la realizzazione e l’indirizzamento della capacità verso attività produttive dipende dal clima”. Inoltre, il clima costituisce una variabile essenziale non solo per la qualità della vita lavorativa, con la sua dimostrata influenza su motivazione, impegno ed efficienza, ma anche per le relazioni interpersonali e la fiducia verso l’organizzazione sicché una letteratura ampia di psicologia organizzativa evidenzia l’importanza del clima sul luogo di lavoro e il suo diretto impatto sulla soddisfazione che le persone traggono dal lavoro e sul conseguente senso di realizzazione lavorativa.

Diventa, quindi, rilevante individuare una chiara definizione di clima aziendale per poter procedere con uno studio approfondito di questo fenomeno divenuto tanto importante da essere citato persino nel documento stilato della Commissione Europea per l’Occupazione e gli Affari Sociali sul rapporto tra stress ed aspetti psicosociali delle organizzazioni.

 

2.1       Cogliere il clima di un’organizzazione

In primo luogo, è necessario evidenziare che il clima di un’organizzazione deve essere colto prima di tutto in quegli aspetti che perdurano nel tempo (Campbell, Dunnette, Lawler e Weick, 1970) e che, indipendentemente da particolari fenomeni, rimangono sostanzialmente costanti pur non acquisendo mai il grado di stabilità insito invece in ciò che chiamiamo la cultura aziendale. In effetti, una chiara definizione è utile anche per distinguere il clima da altri elementi del contesto organizzativo, simili ma pur sempre differenti, come la soddisfazione lavorativa, la cultura aziendale e la motivazione lavorativa, senza peraltro negare che vi possono essere collegamenti ovvero condizionamenti vicendevoli.

Il clima non è un concetto unidimensionale collocabile lungo un continuum, esso è piuttosto un amalgama di diversi fattori, le cui configurazioni determinano varie tipologie del clima all’interno di aggregati collettivi. È questa mescolanza e continua ridefinizione di fattori che spiega perché vi sono climi diversi in realtà organizzative diverse, o, addirittura, all’interno dello stesso contesto. In effetti, diversi studiosi ci ricordano che nella stessa organizzazione possono esistere climi molteplici ci ricordano che l’ambiente organizzativo può essere percepito diversamente da membri appartenenti a diversi livelli organizzativi, di diversa posizione gerarchica, oppure di reparti diversi ma nella stessa posizione (Johnson, 1976; Litwin e Stringer, 1968; Payne e Mansfield, 1973; Powell e Butterfield, 1978; Schneider e Hall, 1972).

Forehand, Garlie, Von Haller, Gilmer (Forehand, Garlie, Von Haller, Gilmer, 1969) definiscono il clima un insieme di caratteristiche che descrivono un’organizzazione e che la distinguono da altre, sono relativamente durature nel tempo ed influenzano il comportamento degli individui nell’organizzazione. Il clima aziendale è composto, quindi, da un insieme di dimensioni – come annota Glick (Glick 1985) la cui misura e comprensione sarà di conseguenza tanto più efficace ed esaustiva quanto più sarà ricondotta alle singole componenti costitutive, le quali permettono e forniscono in ultima analisi una visione globale dell’organizzazione nel suo complesso. Non disponendo nella letteratura di una tassonomia chiara ed esaustiva, si adottano in questa sede alcune dimensioni che vengono promosse dal Great Place to Work. In particolare, il modello si basa sulla raccolta di dati e indicatori relativi a tre aspetti principali: la qualità della relazione tra individuo e management aziendale, la relazione tra individuo e lavoro e la relazione tra individuo e colleghi in azienda. Possono essere poi aggiunte condizioni ambientali di lavoro, la relazione tra individuo ed organizzazione in quanto tale, le opportunità di crescita e soddisfazione in termini retributivi, nonché la percezione dei principi condivisi, proclamati dalla società.

Il clima aziendale riguarda l’ambiente interno di un sistema organizzativo, in particolare la qualità delle relazioni tra gli individui che ne sono parte e la relazione tra individuo ed organizzazione, è frutto di una percezione soggettiva di queste qualità condivise dalla maggioranza della popolazione aziendale, e, infine, proprio per il fatto che l’attore organizzativo è inserito in un sistema di relazioni complesse, queste percezioni vengono incessantemente negoziate, influenzate e ricostruite. Per questo motivo l’indagine del clima rappresenta in primo luogo un momento di analisi e di autoverifica in modo sistematico:

  • del vissuto dei collaboratori che, pur rappresentando una dimensione psicologica dell’azienda, è indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi di business (a tal proposito il vissuto potrebbe essere rappresentato anche come veri e propri assets intangibili dell’organizzazione);
  • dei punti di forza e delle aree di miglioramento, poiché fotografa e rileva le criticità
  • delle aree di intervento per avviare cambiamenti

 

2.2       Dall’analisi all’azione

In secondo luogo, dall’analisi scaturisce la necessità d’azione, motivo per cui l’indagine può essere classificata come action research giacché la partecipazione all’indagine induce il dipendente a crearsi aspettative, a richiedere risposte dal management. Avviare un processo di comunicazione di tipo bottom-up – poiché di comunicazione si tratta anche se veicolata e strutturata – e non considerare gli output o non dare seguito alle istanze presentate può avere conseguenze alquanto negative, provocare un effetto boomerang diminuendo il commitment dei dipendenti (Costa e Gianecchini, 2005). Vi è quindi un rapporto causale tra indagine e cambiamento ove la prima racchiude intrinsecamente le indicazioni circa la direzione o l’ambito della seconda.

 

2.3       Una survey come strumento

In terzo luogo, una survey può essere utilizzata come strumento di monitoraggio e come modalità di ancoraggio per successive indagini.

 

2.4       Effetti psicologici collaterali

Infine, è opportuno evidenziare anche due effetti psicologici collaterali che possono derivare dall’indagine.

Gli individui, sentendosi nel contempo soggetto ed oggetto dell’analisi, vedono aumentare la loro soddisfazione nei confronti del loro lavoro (effetto Hawthorne)

La necessità di dover riflettere sulle percezioni dei fenomeni aziendali accaduti e di condividerle con colleghi alimenta e sviluppa nei membri una visione del complesso costrutto organizzativo condivisa e solidale.

 

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