In Il clima organizzativo: Cos’è e come analizzarlo abbiamo visto che il clima viene inteso come insieme di percezioni, credenze e sentimenti che i lavoratori elaborano rispetto alla loro organizzazione e rappresentano lo sfondo sul quale si delineano le valutazioni specifiche sul proprio lavoro che determinano la vera e propria soddisfazione lavorativa. Analizzare e monitorare il clima in un’organizzazione è essenziale al fine di registrare le evoluzioni nella vita organizzativa, nonché nelle percezioni della stessa.
In questo articolo analizziamo le origini e l’evoluzione del costrutto di clima organizzativo.
1 Origini ed evoluzione del costrutto
Il clima organizzativo è un tema che ha da sempre interessato ambiti di ricerca come quelli della psicologia sociale e applicata, ma anche del management e delle organizzazioni, nonché, più specificatamente, quello delle risorse umane.
Data l’eterogeneità della sfera di indagine, così come è intuibile una certa difficoltà nel definire in modo univoco il concetto di clima organizzativo, altrettanto prevedibile appare il fatto che la maggior parte delle nozioni attribuite a tale costrutto contengano rilevanti tratti comuni.
Figura 1 – Gian Piero Quaglino [Fonte: este.it].
Al fine di comprendere appieno quanto questo argomento sia stato e sia ad oggi di grande interesse, si rimanda ad una classificazione delle fasi caratterizzanti l’evoluzione del costrutto di “clima organizzativo” proposta da Quaglino e Mander (1987), riguardante quattro periodi storici durante i quali si sono alternate fasi di grande interesse a fasi di pesante sfiducia nei confronti di un concetto considerato a volte tutt’altro che scientifico. La Tabella 1 evidenzia dunque i periodi cruciali per la determinazione del concetto di clima organizzativo.
Dal 1964 al 1974 |
Fase di ricerca iniziale, comprendente test ed esperimenti. |
Anno 1975 |
Fase di riepilogo di tutto il lavoro svolto negli anni precedenti: tentativo di convalidare il costrutto di clima organizzativo. Lo scopo è quello di esplicitare la formalizzazione di un modello condiviso. |
Dal 1976 al 1980 |
Fase di discussione tra i fautori di approcci puramente organizzativi al clima lavorativo e quelli di approcci più di stampo psicologico.Periodo in cui l’analisi si concentra sulle più varie implicazioni orelazioni manageriali del clima. |
A partire dagli anni ‘80 |
Fase della presa di coscienza che vi è la necessità di un nuovo impegno nel trattare il tema del clima organizzativo, dato che si registra già da primi anni Ottanta, una progressiva diffusione di un concetto chiamato multidimensionalità del clima. |
Tabella 1 – Fasi storiche della costruzione del costrutto di clima organizzativo. [Fonte: https://www.psyjob.it/clima_organizzativo.htm e Formisano (2009)].
In realtà, è possibile affermare che gli studi riguardo l’ambiente all’interno delle organizzazioni hanno radici ben piùlontane: già alla fine degli anni trenta, grazie a Kurt Lewin, si gettarono le fondamenta che hanno permesso, e permettono tutt’oggi, di esplorare sempre più a fondo un concetto non ancora ben definito nel suo complesso.
Si attribuiscono a Kurt Lewin le origini del costrutto di clima organizzativo poiché fu lui l’ideatore della cosiddetta “Teoriadel campo” contenuta nel suo articolo “Field Theory and Experiment in Social Psychology: Concepts andMethods”.
Figura 2 – Kurt Lewin [Fonte: European Social Psychology].
Mediante la “Teoria del campo”, l’autore intende comunicare sia la rilevanza della tipologia di individuo nei diversi tipi di percezione dell’ambiente circostante, sia che l’ambiente stesso è, congiuntamente alle caratteristiche individuali, determinante del comportamento delle persone. Kurt Lewin ha espresso questo secondo concetto tramite la formula:
“Be = F [P, E] = F [L Sp]” ovvero “Behavior = Function of person and environment = Function of life-space”
L’insieme delle caratteristiche personali e dell’ambiente circostante possono secondo Kurt Lewin essere definiti come “spazio vitale”.
In un successivo articolo, nel tentare di spiegare la rilevanza di questa teoria, assimilò l’importanza che hanno questecaratteristiche del campo (persona e ambiente) in psicologia, a quella che ha il campo di gravità ha nella spiegazione dei fenomeni nella fisica classica. (Lewin, 1946).
Sicuramente un primo passo verso lo studio di tutto ciò che circonda l’individuo in un contesto organizzato: solamente con l’approfondimento dell’indagine sui gruppi e sulle dinamiche che li caratterizzano, Lewin introdusse unconcetto ancor più vicino a quello odierno di clima organizzativo: il concetto di social climate o social atmosphere.Tale concetto, che è stato utilizzato dallo stesso Lewin insieme a Lippit e White nel loro articolo “Patterns of aggressive behavior in experimentally created “social climates.””, venne coniato per differenziare i diversi contesti di leadership a cui vennero sottoposti tre diversi gruppi di giovani.
Si notò infatti che sotto differenti stili di leadership (autoritario, democratico e laissez-faire) i gruppi tendevano arispondere in maniera completamente differente in termini di percezioni, e di conseguenza a comportarsi diversamente. Gli autori dunque riconoscono nel concetto di social atmosphere un dominio riconducibile alla sfera psicologica, considerata appunto da Lewin come “realtà empirica scientificamente descrivibile”.
Il costrutto di clima dell’organizzazione non venne comunque coniato prima del 1958 quando Chris Argyris nel suoarticolo “Some Problems in Conceptualizing Organizational Climate: A Case Study of a Bank” lo utilizzò per indicare l’insieme di tre sistemi interrelati di variabili proprie dell’organizzazione:
- Politiche, procedure e posizioni formali nell’organizzazione;
- Fattori personali, inclusi i bisogni i valori e le abilità individuali;
- Un modello di variabili legate agli sforzi degli individui finalizzati a conciliare i loro scopi con quelli dell’organizzazione.
Il fine ultimo dello studio di Chris Argyris è quello di definire attraverso queste variabili un nuovo livello di analisi che egli chiama “organizational behavior”. “Da ciò, Chris Argyris deduce che la regolazione di un sistema organizzativo e ciò che ne permette il funzionamento, è il clima, processo dinamico identificabile con lo stato del sistema” (Innocenti, 2013).
Nel 1960, McGregor introdusse nel suo libro “The Human Side of Enterprise”, il concetto di Managerial climate sostenendo che il clima all’interno delle organizzazioni sia principalmente determinato da ipotesi manageriali nonchédalle relazioni che si instaurano tra i manager e i loro subordinati. Inutile negare che è possibile riscontrare delle incongruenze nel lavoro di McGregor: “[…] First, McGregor did not present any technique of measurement ofOrganizational Climate. Second, it is culture, not climate which are measured by the sets of assumptions. Climate is more dependent on perceptions rather than assumptions. […]” (Henry 2017, p. 20) .
Successivamente, le prime teorizzazioni ad essere identificate come “veri contributi di fondazione del concetto di clima” furono quelle di Forehand e Gilmer (1964), a cui si aggiunsero in seguito i lavori di Litwin e Stringer (1968) (D’Amato e Majer, 2005).
I primi fornirono una vera e propria definizione di clima organizzativo, quale insieme di caratteristiche che:
- Descrivono l’organizzazione e la distinguono dalle altre organizzazioni;
- Sono relativamente resistenti nel tempo;
- Influenzano il comportamento delle persone nell’organizzazione.
Forehand e Gilmer sono tra i primi a giungere ad una così compatta descrizione del clima organizzativo, proponendo anche un confronto tra le caratteristiche della personalità degli individui e le caratteristiche dell’organizzazione, e concludendo che “il clima è determinato dalla percezione che i membri hanno dell’organizzazione, che a sua volta è influenzata dal ruolo dei membri e dalle loro caratteristiche di personalità […]” (D’Amato e Majer 2005, p. 9).
Nel 1968, Litwin e Stringer in “Motivation and organizational climate” definiscono per la prima volta il clima come unaggregato che riunisce aspettative, stimoli e sostegno, ed è in grado di:
- favorire l’analisi dei comportamenti motivati in contesti sociali ed organizzati;
- semplificare la misurazione delle determinanti situazionali legate a percezioni individuali;
- fornire una descrizione sia dell’ambiente d’influenza esterno sia di quello interno all’organizzazione.
Il loro lavoro è basato su sperimentazioni i cui protagonisti sono studenti universitari per i quali gli autori hanno cercato di simulare nel modo più corrispondente alla realtà i diversi contesti aziendali organizzati (autoritario, democratico e stimolante per gli individui)[1]. Da tale ricerca è emerso che, sulla stessa linea di pensiero di Forehande Gilmer nel 1964, costoro sottolineano l’importanza delle variabili soggettive rispetto a quelle organizzative.
Nello stesso anno Tagiuri (1968) apporta un importante contributo agli studi che si stavano svolgendo in materiafornendo una sua definizione di clima organizzativo, visto come una “qualità relativamente duratura dell’ambienteinterno di un’organizzazione, che:
- è esperienziata dai suoi membri;
- influenza il loro comportamento;
- può essere descritta in termini di valori di una particolare serie di caratteristiche dell’organizzazione”.
Ancora affermando gli aspetti soggettivi del clima organizzativo, nel 1970 Campbell lo definisce un insieme di attributi che possono essere estrapolati e riconosciuti dal modo in cui l’organizzazione si occupa dei propri membri e del loro ambiente.
Durante il 1975, fase descritta in Tabella 1 come la fase di riepilogo di tutti i contributi apportati nel tentativo di definire ilcostrutto di clima organizzativo, Schneider e Snyder affermano che il clima organizzativo è una dimensione organizzativa seppur costruita essenzialmente sulla base delle descrizioni create dai membri di politiche pratiche e condizioni dell’ambiente lavorativo (D’Amato e Majer 2005). Si parla pertanto di percezioni dei lavoratori derivanti dalle interazioni tra caratteristiche organizzative e personali nelle quali l’individuo funge da “information processor”.
Sempre nello stesso 1975 Schneider, nel tentativo di riassumere le prospettive di studio
approcciate fino a quel momento, distingueva:
- un clima come variabile dipendente, analisi delle determinanti delle percezioni sul
- un clima come variabile indipendente, ossia come fonte e determinante di comportamenti eatteggiamenti e non come conseguenza di essi;
- clima come variabile interveniente, clima come mediatore tra organizzazione e
2 I più recenti studi sul clima organizzativo
Qualche anno dopo la classificazione proposta da Quaglino e Mander e riassunta in Tabella 1, Schneider, insieme aReicher (1990), affermarono l’intenzione di non continuare a stressare un concetto già affrontato e moltostudiato. Essi optarono invece per l’analisi delle più svariate sfumature (Bolognini, 2006) ad esso collegato.
A partire da quegli anni, si inizia infatti ad esaminare il tema del clima lavorativo in modo aggregato ad altre variabili organizzative fino ad allora relativamente trascurate dagli approcci classici.
Innanzitutto, il costrutto di soddisfazione lavorativa viene descritto come diretta conseguenza di un clima organizzativo cooperativo e favorevole per i lavoratori (Lee et al., 1996). Più nello specifico, a livello di top management sulla soddisfazione lavorativa influiscono sia il clima aziendale, sia il contesto e la struttura, mentre a livelli gerarchici inferioririsulta essere il clima la fonte essenziale della soddisfazione sul lavoro.
Un secondo studio è quello di Adkins (1999), il quale prende in considerazione il clima organizzativo in relazione a benessere individuale, produttività, assenteismo e sicurezza sul lavoro. Da tale elaborato emerge che un climafavorevole è causa diretta di:
- miglioramento del benessere delle persone
- aumento produttività
- diminuzione dei tassi di assenteismo e incidenti sul
In relazione sempre al benessere delle persone, D’Amato e Majer (2005) hanno accennato anche alla relazione traambiente lavorativo e benessere psicologico. Si descrivono tre filoni di pensiero in merito al benessere psicologico:
- il primo filone definisce le dimensioni del benessere e considera quest’ultimo come un indice del clima del contesto lavorativo;
- il secondo invece, cerca di comprendere quale sia il significato di benessere al mutare del contesto lavorativo e proprio sulla stessa linea individua nel clima organizzativo una delle forze influenzanti il benessere psicologico;
- il terzo filone di studi si occupa di studiare climi di contesti organizzati attraversanti fasi di forti cambiamenti al fine di comprenderne per ogni specifico caso i diversi livelli di benessere psicologico[2].
Ulteriori temi analizzati congiuntamente al clima organizzativo, inversamente proporzionali al benessere delle personenelle organizzazioni e di cui sono stati condotti numerosi studi, sono lo stress lavorativo e, come diretta conseguenza, la sindrome di burnout. Quest’ultima è “generalmente considerata come una sindrome di esaurimento emotivo […] che può manifestarsi in tutte quelle professioni con implicazioni relazionali molto accentuate”. Le dimensioniorganizzative, molto spesso, contribuiscono più di fattori individuali alla comparsa di questa sindrome.
Alcune di queste variabili climatiche sono (Dion, 1989):
- l’ambiguità del ruolo
- l’ammontare del carico lavorativo
- l’assenza di feedback
- la centralizzazione dei processi decisionali
- la mancanza di autonomia
- le condizioni di lavoro
Con riferimento invece ai tratti di personalità, da indagini condotte agli inizi degli anni duemila (Tett, Burnett, 2003) è possibile dedurre che, così come anche per la cultura organizzativa, le persone preferiscono lavorare e dover relazionarsi con climi ed ambienti lavorativi in linea con la propria personalità; questo indurrà gli stessi ad aumentare il loro livello di commitment nello svolgimento di ogni singola mansione nonché le performance raggiunte.
Sarebbe possibile identificare molti altri temi analizzati in relazione al clima organizzativo quali ad esempio l’etica aziendale, l’innovazione, la creatività, la fiducia, la sicurezza, il contratto psicologico, la giustizia organizzativa e cosìvia (D’Amato e Majer, 2005).
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Note
[1] G. H. Litwin, R. A. Stringer (1968), Motivation and Organizational Climate
[2] D’Amato A., Majer V. (2005), Il vantaggio del clima.