In una riflessione autobiografica l’economista americano William J. Baumol (1989) afferma che il modello della crescita sbilanciata, una delle teorie macroeconomiche più influenti della seconda metà del ‘900, è stato ideato e sviluppato interamente nel giro di una notte.
Le influenze di tale modello, che ha portato alla teorizzazione del cosiddetto cost disease (malattia dei costi), si sono estese rapidamente a ogni ambito della vita di tutti i giorni. Baumol cerca infatti di dare una risposta al perché il costo di alcuni servizi cresce più rapidamente rispetto alla media generale dell’economia.
L’idea nasce dallo studio delle tendenze e dei trend economico-finanziari nel settore delle arti performative dal vivo. Le organizzazioni culturali che operano in questo settore, secondo Baumol, si trovano perennemente in condizioni economico/finanziarie critiche, in quanto, a causa dell’impossibilità di incrementare in modo deciso la produttività, non riescono a coprire le perdite con i soli incassi. Tale considerazione ha portato l’autore alla pubblicazione, nel 1962, di “Performing Arts – The Economic Dilemma” volume rilevante in quanto primo contributo organico dedicato all’analisi, perlopiù empirica, del settore delle arti performative dal vivo, anche in relazione alla necessità di sussidi pubblici e privati.
Nella teorizzazione originale del modello risalente al 1967, Baumol presuppone che nel sistema produttivo moderno le attività economiche sono raggruppabili in due settori: le attività tecnologicamente progressive, in cui innovazione, accumulazione di capitale ed economie di scala consentono un rapido e costante aumento della produttività; le attività del settore cosiddetto stagnante, in cui si registrano lenti e sporadici aumenti di produttività. Rientrano all’interno di questa categoria servizi personali quali la sanità, l’istruzione e le arti performative che, nel corso degli anni, hanno resistito a un incremento di produttività tipico delle attività del settore tecnologicamente progressivo.
Tale netta divisione “è una manifestazione della struttura tecnologica del settore”, che determina se la produttività cresce più o meno rapidamente. In tale contesto il lavoro gioca un ruolo fondamentale.
Nelle attività ad elevata produttività, ad esempio nel settore manifatturiero, il lavoro è concepito come uno strumento, come un requisito fondamentale per la realizzazione del prodotto finale. A causa della specifica struttura tecnologica di tali attività, è possibile, attraverso l’innovazione o l’iniezione di capitale, diminuire la quantità di input necessaria alla produzione di un’unità di output, senza conseguenze negative in termini di qualità. Ad esempio, un’impresa che produce elettrodomestici può implementare un’innovazione che permetta di ridurre del 15% la manodopera necessaria alla produzione di un frigorifero senza ripercussioni sul prezzo e sulla qualità del prodotto finale. Dunque, non esiste alcuna relazione tra il livello qualitativo dell’output e il tempo impiegato per produrlo.
Nel settore stagnante invece il lavoro, più che un mezzo, è il fine stesso dell’attività produttiva, “e la qualità è valutata direttamente in termini di quantità di lavoro”. Baumol chiarisce il concetto attraverso l’esempio dell’insegnamento. Ipoteticamente, l’introduzione di “teaching machines” o altre innovazioni tecnologiche all’interno delle classi renderebbe possibile l’aumento del numero di studenti per classe. Tuttavia esiste un limite nel numero di studenti per classe oltre al quale non è desiderabile spingersi per non ridurre la qualità dell’insegnamento. Allo stesso modo, è impossibile e inutile aumentare la produttività per eseguire un’opera di Bellini al doppio della velocità. La medesima opera di Bellini richiede la stessa quantità di input e di tempo al giorno d’oggi come nel XXIX secolo.
Esiste dunque, nel settore stagnante, un trade-off tra quantità e qualità dell’output. Questo perché “l’assenza di progresso tecnologico nel settore stagnante deriva (…) dall’impossibilità di sostituire il lavoro con il capitale oltre un determinato limite”.5 Nelle attività non progressive dunque le condizioni di produzione precludono un aumento sostanziale della produttività, proprio perché il lavoro coincide con l’output: “the singer singing, the dancer dancing, the pianist playing”. Nel settore stagnante rientrano dunque tutte quelle attività “che richiedono attenzione personale, in cui la qualità del prodotto finale dipende soprattutto dalla quantità di lavoro umano ad esse dedicate”.
Il termine cost disease (malattia dei costi) ha una connotazione negativa perché le attività che ne sono colpite sono caratterizzate da performance economico-finanziarie scarse. Tali attività si trovano in una situazione di growing cost disadvantage: il costo di produzione per unità di output è destinato ad aumentare costantemente e senza limiti a causa del divario tecnologico che separa il settore stagnante da quello progressivo. Appare evidente che tale scenario rischia di compromettere la sopravvivenza dei cosiddetti servizi personali nel medio-lungo periodo.
Nella visione pessimistica di Baumol, la sindrome non può essere eliminata o curata e i prezzi continueranno ad aumentare ad un tasso maggiore rispetto a quelli dell’economia generale. Non è possibile aggirare il problema semplicemente innovando il prodotto poiché alcuni servizi sono unici e non sostituibili; ad esempio, una sinfonia dal vivo non può essere sostituita da una registrazione su nastro magnetico dal momento che verrebbe a mancare l’elemento di interattività che è il cardine delle performance live. I beni e i servizi prodotti nel settore stagnante sono destinati a scomparire o, nella migliore delle ipotesi, ad essere rimpiazzati da quelli prodotti nel settore tecnologicamente progressivo.
Il paradigma “malattia dei costi” o effetto Baumol, sta ad indicare un fenomeno economico descritto da William J.Baumol e William G. Bowen che implica una crescita del costo unitario del lavoro nei settori nei quali non si è verificata una crescita della produttività, in risposta ad una crescita salariale avvenuta in un altro settore a seguito di un aumento della produttività.
Ci si riferisce sovente al modello di William J. Baumol e William G. Bowen come “morbo di Baumol” o “malattia dei costi di Baumol“ perché descrive analiticamente il circolo vizioso che porta a un aumento dei costi (e dei prezzi) dei beni e dei servizi pubblici (e più in generale rinvenienti dal settore non-profit). Il settore non progressivo viene pertanto aggregato in funzione della rispettiva quota di preponderanza dei vari settori non veri “progressive oriented”.
Figura 1 – William J. Baumol [Fonte: washingtonpost.com].
In dettaglio Baumol, nel contesto di un sistema economico molto semplificato che considera il solo lavoro, afferma che ci sono attività economiche, per lo più servizi pubblici (assistenza sanitaria, istruzione, attività culturali, manutenzione delle città ecc.), caratterizzate da una struttura tecnologica che porta a un progressivo aumento dei costi necessari per fornirle. Ogni sforzo indirizzato a ridurre tali costi risulterà inutile nel lungo periodo in quanto la radice del problema sta nella natura intrinseca di tali attività.
Figura 2 – William G. Bowen [Fonte: educationnext.org].
Il modello prevede che le attività economiche possono essere raggruppate in due settori:
La classificazione di un’attività in un settore piuttosto che nell’altro dipende essenzialmente dalla struttura tecnologica dell’attività considerata perché è quest’ultima che definisce se la produttività del lavoro cresce in modo rapido o lento.
A sua volta la crescita della produttività del lavoro dipende dal ruolo giocato da tale input nella produzione. Se tale input rappresenta uno strumento utilizzato per ottenere il prodotto finito, l’attività rientra nel settore progressivo (si pensi per esempio all’attività manifatturiera). Se invece tale input costituisce il prodotto finito in quanto tale, l’attività rientra nel settore non progressivo (si pensi ad esempio all’attività di insegnamento o a uno spettacolo teatrale).
Mentre nel primo caso (Settore progressivo) una riduzione del fattore lavoro, ovvero un aumento della produttività, si accompagna a un miglioramento nella qualità del prodotto, nel secondo caso (Settore non progressivo) la qualità del servizio è valutata sulla base della quantità del lavoro impiegata nella prestazione: se aumenta il fattore lavoro, aumenta anche la qualità del prodotto finito mentre tutti i costi al di fuori del costo del lavoro possono essere ignorati.
I salari nei due settori economici si muovono assieme a causa della mobilità del lavoro che si ha nel lungo periodo. Si assume quindi, per semplicità, che i salari tendano ad allinearsi in entrambi i settori. I salari crescono tanto velocemente quanto l’output per ora uomo nel settore a produttività crescente.
In aggiunta a questa netta separazione delle attività economiche in due categorie, Baumol suppone che:
Una volta definite tutte le ipotesi sottostanti al modello, definiamo come “settore 1” il settore non progressivo e come “settore 2” il settore progressivo (in cui l’output per ora uomo cresce al tasso r).
Indicando con Y1t e Y2t l’output nei due settori al tempo t, si ottiene:
Y1t = a L1t
Y2t = b L2t e rt
dove “L” rappresenta la quantità di lavoro impiegata e “a” e “b” sono (per ora) due costanti, mentre “e” denota il numero neperiano solitamente impiegato nelle capitalizzazioni.
Sulla base della predetta assunzione secondo la quale che i salari tendano ad allinearsi in entrambi i settori, si ottiene la seguente uguaglianza:
Wt = W e rt
dove “Wt” è il salario uguale per entrambi i settori, il quale cresce in parallelo con la produttività del settore 2.
A questo punto Baumol formula quattro corollari che, uniti insieme, costituiscono la cosiddetta “teoria della crescita sbilanciata”:
C1 = Wt L1t Y1t = W e rt L1t a L1t = W e rt a
C2 = Wt L2t Y2t = W ert L2t b L2t e rt = W b
da cui il costo relativo risulta essere:
C1/C2 = (Wert/a)/Wb=bert/a
C1 Y1/ C2 Y2 = W (ert L1t) /W (ert L2t) = L1t/ L2t = A (frazione costante)
Y1/Y2 = a L1t/ (b L2t e rt ) = a A /b ert
da cui si evince che il rapporto tra gli output dei due settori tende a 0 per t con valori portanti al lungo periodo.
Baumol riassume l’esito della propria l’analisi in termini intuitivi-descrittivi, affermando che se la produttività del lavoro cresce cumulativamente nel settore progressivo e contemporaneamente i salari crescono nella stessa misura in tutte le aree, allora i costi del settore stagnante cresceranno inesorabilmente e senza limiti. Poiché in questo caso il tasso di produttività è costante, ogni incremento dei salari sarà seguito da un proporzionale aumento dei costi, il quale a sua volta provocherà un parallelo aumento dei prezzi.
Nel settore progressivo, al contrario, l’aumento del costo del lavoro sarà sempre controbilanciato dall’aumento della produttività di tale input e quindi i costi totali non aumenteranno affatto. Come diretta conseguenza di tale situazione, i beni e i servizi del settore non progressivo a domanda elastica saranno destinati a uscire dal mercato. Se essi riusciranno a sopravvivere, una quota sempre maggiore della forza lavoro sarà destinata a spostarsi in tali attività economiche e parallelamente il tasso di crescita dell’economia tenderà a rallentare. Il settore a produttività costante comprende fondamentalmente i servizi: essi, per la loro natura intrinseca, non consentono significativi aumenti della produttività del lavoro perché richiedono la presenza umana. È l’intervento dell’uomo che conferisce valore a tali attività e pertanto non sono possibili e nemmeno desiderabili incrementi della produttività attraverso le economie di scala, l’innovazione e l’accumulazione di capitale.
A titolo di esempio Baumol cita l’istruzione universitaria, un’attività la cui domanda è elastica rispetto al reddito (all’aumentare del reddito anche la domanda aumenta) e rigida rispetto al prezzo (all’aumentare del prezzo la quantità domandata diminuisce di una percentuale minore) e la cui produttività è sostanzialmente costante. Di conseguenza, i costi tenderanno a crescere senza tregua: non si tratta affatto di un fenomeno temporaneo, ma di un meccanismo destinato a perdurare e ad auto-alimentarsi nel tempo. Nonostante l’iscrizione dei propri figli all’università rappresenti un notevole sacrificio per molte famiglie, è largamente diffusa la consapevolezza che un alto livello di istruzione sia indispensabile per poter avere accesso a numerose occupazioni di prestigio. Le famiglie sono pertanto preparate a sostenere tali spese e sono disposte a rinunciare ad altri beni e servizi pur di investire nel futuro dei propri figli.
Nella parte conclusiva del suo elaborato, Baumol tratta di uno dei maggiori problemi economici dei nostri tempi, ovvero la crisi delle grandi città, e cerca di dare una spiegazione a tale fenomeno attraverso il suo modello della crescita sbilanciata. Al riguardo Baumol scrive: “the upward trend in the real costs of municipal services cannot be expected to halt; inexorably and cumulatively, whether or not there is inflation, administrative mismanagement or malfeasance, municipal budgets will almost certainly continue to mount in the future, just as they have been doing in the past. This is a trend for which no man and no group should be blamed, for there is nothing that can be done to stop it”.
L’intelligenza artificiale si traduce non nell’incremento di produttività della forza lavoro (unico fattore produttivo) nei due settori ma nella moltiplicazione (replicazione) della forza lavoro. Per preservare la piena occupazione (obbiettivo dei politici) il fenomeno, come inizia oggigiorno a palesarsi, si accompagnerebbe ad una riduzione dei tempi di impiego lavorativo[2].
In buona sostanza, la relazione che impone la piena occupazione del lavoro L1 + L2 = L potrebbe essere riformulata (e riletta) nel senso che essa vada riferita ad un minor lasso di impiego del lavoro (quattro giorni su sette per settimana anziché cinque su sette)[3].
Il livello dei salari rimane ancorato alla produttività del settore 2. Tuttavia, a seconda dei livelli di impatto della intelligenza artificiale nei due settori, è ragionevole ipotizzare un contenimento di tale livello dei salari, pena la origine di problemi di disoccupazione.
Il nucleo analitico del presente intervento è costituito dall’indagine sul ruolo del recente fenomeno in azione costituito dalla introduzione della intelligenza artificiale nei processi della produzione degli outputs oggetto di attenzione.
“L’intelligenza artificiale generativa ha il potenziale per rivoluzionare il settore manifatturiero e in particolare l’ambito della supply chain, rappresentando se ben gestita un efficace amplificatore delle competenze umane” e la “Generative AI” sta rivoluzionando ogni tipo di industria grazie alla sua capacità di generare contenuti innovativi e originali”[4].
Il problema si pone nei termini se questo effetto di scala (“cascata”) impatterà su tutti i settori siano essi progressivi o non progressivi e se sì in quale misura.
Nostro obbiettivo è cercare di rispondere alle implicazioni sottese a tale forma di “spillover effect”.
Vediamone i passaggi
Evoluzione del parametro “a” (del settore tecnologicamente non progressivo)
a = a0 X eλt
Evoluzione del parametro “b” (del settore tecnologicamente progressivo)
b =ba0 X eẟt
dove i tassi di sviluppo applicati ai coefficienti di produttività del settore non progressivo (a) e di quello progressivo (b) e cioè rispettivamente λ e ẟ, denotano i saggi di incidenza riconducibili alla intelligenza artificiale sui settori dell’economia.
I saggi di mutamento percentuale del beneficio legato alla intelligenza artificiale si assumono costanti in ciascuno dei due settori (variazione composta nel tempo allo stesso tasso).
Il livello del salario (generalizzato per ambedue i settori, che parte da un livello iniziale “W” per adattarsi agli sviluppi temporali in funzione della dinamica della produttività del settore progressivo) è si suppone sia determinato nella seguente maniera:
Wt = W e rt
In pratica, prescinde dai livelli percentuali (saggi) di movimento/impatto della intelligenza artificiale.
Se si dovesse invece incorporare, nel movimento del salario, l’effetto “intelligenza artificiale”, potrebbe risultare ragionevole che:
Wt = W e rt – ẟt
(per ẟ >λ)
In questo caso i mutamenti temporali dei salari risulterebbero meno marcati nel settore progressivo (manifatturiero) e traslati come tali a quello non progressivo.
Focalizziamo adesso la nostra indagine.
ẟ > 0
λ > 0
Se λ – ẟ > 0, cioè se l’impatto dell’intelligenza artificiale sulla dinamica degli aggregati produttivi del primo settore è più invasiva degli effetti sul secondo settore, siamo tenuti ad indagare la seguente dinamica:
r + ẟ – λ ><0
Per r + ẟ – λ > 0 le predizioni del modello di Baumol rimangono invariate, nel senso che la tendenza asintotica delle conclusioni del modello tendono a permanere inalterate, anche se l’effetto “intelligenza artificiale” sposterà nel tempo la scomparsa del settore non progressivo, con le consuete conseguenze catastrofiche di lungo periodo.
Per λ > (r – ẟ)
Il teorema di Baumol viene completamente alterato nel senso che nel lungo periodo non si assisterà alla scomparsa di alcun comparto produttivo.
Infatti, l’incremento dei salari in questo settore è tale da essere assorbito dal fattore intelligenza artificiale sempre all’interno del medesimo settore.
Nel momento in cui i saggi di crescita sono disomogenei all’interno di ciascuno dei due settori si rende opportuno assumere il tasso di crescita più elevato dei sotto-settori che formano quello progressivo, inducendo questo un effetto di lungo periodo nel modello più marcato.
Analogamente, se nel settore non-progressivo (costituito in genere dal settore pubblico e quello del “non-profit”), si può assumere che nessuno dei due settori è caratterizzato da progresso tecnologico (salvo il ruolo della “intelligenza artificiale”), non avrà senso porsi la questione degli incrementi differenziati di produttività (che non dovrebbe esistere se non in maniera proporzionale).
Ancora, finora ci si è soffermati sull’ipotesi tipicamente “Baumoliana” che il settore progressivo non sia aperto ad interscambio esterno. Questa ipotesi complicherebbe non di poco il quadro di analisi nel riflesso che il fenomeno si sottopone a regolamentazioni sovra-nazionali come nel caso dell’ “AI Act: The European Artificial Intelligence Regulation” [5] che si estenderà a livello orizzontale nei confronti dei soggetti competitori sul mercato produttivo.
La presenza del fattore tecnologico “AI” potrebbe addirittura nuocere al sistema progressivo nei termini ben delineati da Bhagwati già nel corso degli anni ’50 (la crescita impoverente, in gergo “Immiserizing Growth” se e nella misura in cui la ragione di scambio e cioè il prezzo relativo dell’output del settore progressivo esportato dovesse peggiorare anziché apprezzarsi per effetto del mutamento dei prezzi relativi verso il resto del mondo a motivo del fenomeno in disamina)[6].
Secondo quanto illustrato, il ruolo dell’intelligenza artificiale è quello di concorrere a smorzare gli incrementi dei costi di produzione in termini di impiego di forza lavoro, a meno che non si addivenga ad una riduzione dell’impiego del fattore lavoro a parità di salario. E’ come se in una funzione di produzione (di solito la si immagina alla “Cobb-Douglas” e cioè esponenziale e semplificata negli inputs) esistesse un bene pubblico il quale, adattato a tutti i sistemi di produzione, consente una loro espansione i termini di output prodotto[7]. Come noto il bene pubblico (in questo caso il know-how intelligenza artificiale) ha natura di essere bene non discriminatorio e godibile senza vincoli quantitativi. Sicuramente questo può costituire un campo aperto per le riflessioni non sono degli economisti ma anche degli operatori.
Lo schema analitico esposto ha investigato la possibilità che il modello non addivenga (in maniera pessimistica) alla scomparsa del settore tecnologicamente innovativo, ma che possa convivere ancora per un lasso temporale ovviamente dipendente dall’impatto della intelligenza artificiale. Addirittura, per assistere ad un ribaltamento dei suoi effetti qualora il tasso di incidenza del fenomeno nel primo settore sia soverchiante rispetto al secondo.
Quindi ci potrebbe essere spazio per trarre una convinzione di ottimismo nonostante le proiezioni al pessimismo che storicamente hanno caratterizzato il modello.
Al fine di temprarne l’effetto bisognerebbe che a livello politico si condividesse la scelta di mantenere la piena occupazione secondo la seguente equazione di movimento dinamico:
dL1t/dλ * dλ + dL2t/dẟ * dẟ = 0 (con “d” deponente differenziale rispetto al tempo),
In pratica al crescere dell’impatto della intelligenza artificiale le ore uomo occupate si riducono ma per caratterizzare una unità lavorativa la si definirà in termini di minori ore lavorative.
I salari (del settore 2 che poi si generalizzano al settore nei termini del modello generale su-evidenziato) si muoveranno in maniera tale però che le predizioni del modello tristemente saranno confermate.
Per imprimere una diversa svolta i salari dovrebbero essere legasti alla dinamica del progresso in campo di intelligenza artificiale ma su questo argomento la scienza economica e gli operatori appaiono su posizioni non univoche[8].
Sta di fatto che secondo alcuni esperti (come Gates) la forza lavoro ai fini delle indagini economiche e sociali sulla misurazione del pieno impiego della forza lavoro dovranno far riferimento ad una funzione di qualificazione dei lavoratori secondo skills operativi che devono adattarsi al fenomeno in discussione.
In special modo se si dovesse istituire un confronto (che in questa sede si può solo accennare) con la teoria del comportamento del burocrate pubblico che così largo impatto ha avuto nel pensiero economico ed aziendalistico di Niskanen[9].
In pratica, premesso che secondo Niskanen (economista consigliere del Governo Reagan dal 1981 al 1985) l’obbiettivo del burocrate diverge da quello della efficienza economica (utilità marginale spesa pubblica = costo marginale)[10], nella norma questo giustificherebbe l’emersione di crescenti deficit pubblici.
La intelligenza artificiale potrebbe contribuire a consentire, in forza della ipotizzata riduzione dei costi, di ridurre il gap esistente e notato in letteratura tra le due configurazioni di attività del settore pubblico.
[1] Si veda in proposito Pasinetti L.L. “The Notion of Vertical Integration in Economic Analysys”, “Metroeconomica”, 1973.
[2] Non ci muoviamo quindi nel contesto adombrato da Degli Innocenti N. “BOE: dall’intelligenza artificiale rischi per il sistema finanziario”, “Sole 24 Ore” del 07.12.2023. In questo articolo l’autrice affronta in via intuitiva e sintetica l’impatto del processo di I.A. sui processi finanziari. Questo potrebbe avere una interrelazione con il settore “1” dello schema di Baumol ma nel senso che più che costituire un asetto positivo, si muoverebbe in contro-tendenza creando problemi anche di governance e di rispetto della normativa a vari livelli.
[3] La tendenza futura che potrebbe emergere si collocherebbe nel solco di contenere l’impiego della forza lavoro nei due settori sulla base di queste misurazioni:
Nuovo L1 = L1 – L1e-λt
Nuovo L2 = L2 – L21e-ẟt
[4] Barbara Ganz “Nelle imprese presto sarà realtà Rivoluzionerà la manifattura” “Il Sole” (02.12.2023).
[5] https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/A-9-2023-0188-AM-808-808_IT.pdf
[6] Immiserizing Growth: A Geometrical Note” Jagdish Bhagwati The Review of Economic Studies Vol. 25, No. 3 (Jun., 1958), pp. 201-205
[7] “A Note on the Production Possibility Frontier with Pure Public Intermediate Goods” Kenzo Abe, Hisayuki Okamoto and Makoto Tawada The Canadian Journal of Economics / Revue canadienne d’Economique Vol. 19, No. 2 (May, 1986), pp. 351-356.
[8] OECD The impact of Artificial Intelligence on the Labour Market: What Do We know so far”, 2021 redatto da Lane M. e Saint Martin A.
[9] Niskanen, W. A. 1968. “The Peculiar Economics of Bureaucracy.” in “The American Economic Review
[10] I burocrati preferiscono infatti privilegiare l’uguaglianza spesa totale con il beneficio totale della collettività, a prescindere dalla efficienza ovvero inefficienza che a ciò si associa. Il tutto viene dimostrato nell’apposito grafico redatto dall’autore. Ed infatti, se il costo marginale dell’attività pubblica in questo caso si riduce per effetto della introduzione nei processi della intelligenza artificiale, si dimostra che la cura di espansione della spesa pubblica tende a diventare “sopportabile” sulla comunità per un valore più elevato rispetto a quanto avveniva in precedenza.