Diversity Climate: Cos’è la diversità? – Digital4Pro

Diversity Climate: Cos’è la diversità?

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1.  Introduzione

In Il clima organizzativo: Cos’è e come analizzarlo abbiamo visto che il clima viene inteso come insieme di percezioni, credenze e sentimenti che i lavoratori elaborano rispetto alla loro organizzazione e rappresentano lo sfondo sul quale si delineano le valutazioni specifiche sul proprio lavoro che determinano la vera e propria soddisfazione lavorativa. Analizzare e monitorare il clima in un’organizzazione è essenziale al fine di registrare le evoluzioni nella vita organizzativa, nonché nelle percezioni della stessa.

Nel nostro articolo Il clima organizzativo: Origini ed evoluzione del costrutto di clima organizzativo abbiamo visto che il clima organizzativo è un tema che ha da sempre interessato ambiti di ricerca come quelli della psicologia sociale e applicata, ma anche del management e delle organizzazioni, nonché, più specificatamente, quello delle risorse umane.

In Il clima organizzativo: Gli approcci alla formazione del clima organizzativo abbiamo visto che negli ultimi 50 anni numerosi studiosi si sono occupati dello studio del clima aziendale fornendo differenti approcci teorici. Distinguiamo tra Approccio strutturale, Approccio percettivo, Approccio interattivo e Approccio culturale.

Nel nostro articolo Il clima organizzativo: La natura multidimensionale del clima organizzativo abbiamo analizziamo la natura multidimensionale del clima organizzativo come esplorata fin dal 1968 da Litwin and Stringer,  da Campbell, Dunnette, Lawler e Weick nel 1970, da Jones e James alla fine degli anni Settanta, da W. H. Glick nel 1985 fino ad arrivare ad Enzo Spaltro e Paola de Vito Piscicelli (2002) e Innocenti nel 2013.

In questo articolo analizziamo cosa sia la diversità nel clima organizzativo.

 

2.  Le origini

Il fenomeno del cambiamento nella composizione della forza lavoro della maggior parte delle organizzazioni ha accresciuto, col passare del tempo, l’importanza per i lavoratori di sentirsi apprezzati (Innocenti, 2013). Il diversity climate è un costrutto specifico originato con la finalità di analizzare le percezioni che gli individui hanno del proprio ambiente di lavoro in materia di diversità. Congiuntamente al concetto di clima organizzativo, il clima di diversità rappresenta un rilevante ambito di analisi per il benessere delle organizzazioni, poiché il sentimento di esclusione da parte di colleghi o superiori risulta essere un fenomeno sempre crescente nelle organizzazioni[1].

Al fine di fornire una collocazione a tale costrutto tra le caratteristiche organizzative, Glick (1985) considera il clima di diversità come una vera e propria specifica del costrutto di organizational climate. Tale collegamento deriva dal fattoche un’atmosfera positiva all’interno dell’organizzazione prende forma anche grazie al riconoscimento delle adeguate attenzioni al tema della diversità; allo stesso modo comprendere le origini e le fonti della diversità nel mondo del lavoro è condizione necessaria al fine di giustificare la nascita nonché l’evoluzione del costrutto di diversity climate.

L’attrazione delle organizzazioni verso tale tema inizia ad aumentare nel momento in cui i leader comprendono che una forza lavoro che si sente parte integrante e necessaria nel raggiungimento degli obiettivi aziendali, facilita il conseguimento di risultati e performance migliori. Nella ricerca empirica, così come nella letteratura è infatti ormaiconsolidata la teoria secondo la quale migliore è la percezione degli individui nel sentirsi accettati, migliore è il grado di soddisfazione dell’organizzazione nei loro confronti, migliore è il livello di commitment degli individui stessi[2].

Gran parte dei ricercatori (Mor-Barak, Cherin, 1998; McKay, Avery, Morris, 2008; Ely e Thomas, 2001) si sono concentrati sia sulle modalità di creazione di un clima organizzativo alla diversità positivo e favorevole, e dunque sulle sue determinanti, sia su come queste ultime siano direttamente correlate all’efficacia organizzativa.

 

3.  Diversity Climate: Cos’è la diversità?

Diversità è un termine che fa riferimento ad un ampio contenitore di accezioni differenti: diversità di razza, di sesso, di età sono solamente alcuni dei significati attribuibili a tale concetto pur quando analizzato solamente nell’ambitolavorativo.

Come anticipato, è essenziale comprendere la natura della diversità per riuscire a comprendere il significato el’importanza del costrutto in esame.

Una delle maggiori cause che hanno contribuito al confronto con persone via via più differenti risiede nel fenomeno della globalizzazione[3]. Inoltre, se il processo della globalizzazione può essere considerato come la principale causa di undiffuso avvicinamento di individui fortemente diversi tra loro, è altrettanto possibile affermare che fenomeni come la repentina evoluzione tecnologica, l’emancipazione femminile e l’immigrazione siano solo alcune delle principali fontidella odierna eterogeneità della forza lavoro. Basti pensare, in via esemplificativa, che grazie alle ondatemigratorie verso gli Stati Uniti avvenute tra gli anni settanta e ottanta, all’inizio degli anni novanta i lavoratoristatunitensi, pur costituendo la cosiddetta classe dominante, rappresentavano esclusivamente l’8% di tutta la forzalavoro. In quegli anni furono infatti, gli immigrati, prevalentemente provenienti da America Latina ed Asia (quindi lavoratori considerati facenti parte delle cosiddette “minoranze etniche o razziali”) a far registrare alti tassi dioccupazione[4].

L’interesse ai temi della diversità nel mercato del lavoro può tuttavia essere fatto risalire già agli anni Sessanta, quando i governi negli Stati Uniti tentarono di risolvere il problema degli episodi di discriminazione che già si verificavano negli ambienti di lavoro attraverso le cosiddette Affirmative Actions[5]. Queste azioni positive, tramite coercizioni legislative, condussero le imprese a dover assumere determinate quote di lavoratori appartenenti a minoranze. Se da un lato leAffirmative Actions hanno concorso ad aumentare la probabilità di un equo trattamento per l’inclusione nel mondo lavorativo di persone considerate dalla massa più svantaggiate di altre, dall’altro esse non sono riuscite a garantire un corretto processo di inserimento di tali soggetti all’interno di ambienti in cui il sentimento di discriminazionedilagava.

Nel tempo si è infatti registrata un’inversione della prospettiva con la quale le organizzazioni guardano alla diversità: queste non si concentrano più tanto sul problema delle scarse assunzioni di minoranze etniche o di genere, quantosulle condizioni in cui queste ultime sono chiamate a lavorare successivamente alla propria assunzione. Il problema diviene a questo punto quello di ricercare ed implementare politiche aziendali e programmi finalizzati ad aiutare persone con caratteristiche e background differenti per cooperare nel migliore dei modi all’interno di uno stesso contestoorganizzativo.

Il tema della diversità diviene ancor più interessante nel momento in cui si comprendono le potenzialità della stessa in termini di caratteristica strategica, in grado di arricchire know how, prospettive di osservazione nonché idee e processi innovativi di un’organizzazione. D’altro canto, la diversità, in tutti quei casi in cui le imprese non si preoccupano di gestirla correttamente, potrebbe facilmente creare conflitti e affievolire legami strategici già presenti[6].

 

4.  Le caratteristiche e le variabili dimensionali della diversità

Le definizioni di diversità non sono di certo rare nella letteratura, ma molte delle teorie prevalenti sulla diversità gettano le radici nel concetto di identità dell’individuo. Uno degli approcci più interessanti finalizzato alla definizione del concetto di diversità nell’ambiente lavorativo è quello proposto da Basaglia e Paolino (2015). Tale approccio è definito dagli stessi autori come “omnicomprensivo” poiché considera non solo i classici livelli di analisi quali il genere, l’età o larazza ma anche altre categorie sociali. Queste ultime sono costruite su:

  • Caratteristiche primarie o secondarie, ossia rispettivamente fattori della persona tendenzialmente non modificabili (es. genere, età, orientamento sessuale, condizioni psico-fisiche) e tendenzialmente modificabili (condizioni familiari, vita privata, credenze politiche e religiose, condizioni socioeconomiche);
  • Caratteristiche visibili o invisibili;
  • Caratteristiche stigmatizzate o non

L’insieme di tutti questi aspetti delle persone contribuisce ad una più ampia visione del concetto di diversità che non deve riconoscersi solamente nelle tipologie più riconosciute (genere, età, razza…).

Tale classificazione, riesce infatti ad inglobare nella definizione di diversità, congiuntamente alle prime due categorie di variabili riguardanti l’identità della persona, anche tutte quelle caratteristiche che attengono al legame tra la persona e l’organizzazione, ossia compiti, mansioni e ruolo da svolgere: sono queste le caratteristiche associate al cosiddetto stigma sociale[7] ossia un fattore distintivo responsabile della creazione dell’identità dell’individuo all’interno di un gruppo.

Un ulteriore modello in grado di chiarire quale siano le declinazioni principali del concetto di diversità è proposto daGardenswartz e Rowe (1994). Esso individua dei fattori in base ai

quali il concetto di diversità può essere scomposto (Gardenswartz e Rowe, 1994):

  • Personalità;
  • Dimensioni interne (età, genere, razza, gruppo etnico, abilità fisiche, preferenze sessuali);
  • Dimensioni esterne (localizzazione geografica, reddito, abitudini personali, passatempi abituali, religione, istruzione, esperienze lavorative, aspetto, condizione familiare, stato civile);
  • Dimensioni organizzative (funzione in cui si è collocati, contenuto del lavoro, divisione o gruppo, anzianità, status manageriale).

I quattro livelli sono descritti seguendo un ordine basato sul grado di stabilità delle caratteristiche che ricomprendono: come la personalità fa riferimento a tutte quelle variabili tendenzialmente non modificabili in una persona, così le dimensioni organizzative rappresentano fattori della propria vita sulle quali l’individuo esercita un discreto controllo eche quindi riflettono fattori facilmente trasformabili e poco stabili.

Ciò che è facilmente intuibile dall’esposizione dei due approcci precedenti è che, seppur con una terminologia relativamente differente, entrambi i modelli non forniscono una definizione univoca del concetto di diversità bensì la descrivono tramite l’utilizzo di caratteristiche personali e situazioni in cui l’individuo può trovarsi.

Come affermato in precedenza nella letteratura tra le declinazioni suddette, gli esempi di diversità maggiormente analizzati sono di certo quelle che Gardenswartz e Rowe classificano con il più alto grado di stabilità: genere, età,etnia e razza e orientamento sessuale.

 

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Note

[1] Basaglia e Paolino, 2015

[2] Mor-Barak, Cherin, 1998

[3] Gabrielli, 2010

[4] Mor-Barak, Cherin, 1998

[5] Gabrielli, 2010

[6] Basaglia, Paolino, 2015

[7] Giddens, Sutton (2013), Sociology, Polity Press.

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