I problemi relativi alla determinazione del costo di prodotto sono racchiusi nelle scelte relative alla quantificazione delle sue componenti: la componente diretta e la componente indiretta.
Il problema fondamentale nel calcolo del costo di prodotto risiede nel dover collegare all’unità di prodotto i costi rilevati e aggregati per natura dai tradizionali sistemi contabili. La necessità di impostare il calcolo su base unitaria costituisce l’aspetto critico dell’intero processo di misurazione.
Alcune categorie di costi possono essere misurate con riferimento all’unità di prodotto ed essere imputate attraverso la semplice combinazione di quantità fisiche e prezzi di costo unitario. È questo, per esempio, il caso dei materiali diretti, dei componenti, e del lavoro diretto. Sono questi definiti costi diretti appunto perché la loro misurazione unitaria può essere agevolmente impostata in base al procedimento diretto. Si richiede in questo caso la valorizzazione di quantità fisiche per prezzi.
Si tratta di una misurazione intrinsecamente oggettiva in quanto osservabile e misurabile in relazione al consumo del fattore produttivo.
Tale misurazione trova i propri aspetti cruciali nella definizione dei due termini del calcolo: quali quantità di fattore produttivo considerare e come considerare gli scarti fisiologici accettabili, quali prezzi costo prendere in considerazione per operare la valorizzazione e così via.
La determinazione del costo diretto non è scevra da aspetti critici dal punto di vista metodologico. Più che nell’individuazione della metodologia di misurazione, le criticità vanno ricercate nell’adeguatezza dei sistemi. La corretta quantificazione dei consumi di materiali o di lavoro diretto per unità di prodotto in un’azienda manifatturiera non attiene alla sfera amministrativa, ma piuttosto alla corretta formulazione delle distinte base o dei cicli di lavorazione.
Alcune categorie di costi, che in un numero crescente di aziende costituiscono una porzione rilevante dei costi di produzione, non sono direttamente riferibili all’unità di prodotto ma, anche in questo caso, è possibile definire una relazione diretta misurabile tra i processi di impiego di tali fattori e il prodotto stesso.
Occorre quindi fare ricorso al procedimento indiretto di imputazione che si sostanzia in tre momenti tra loro complementari e sequenziali:
Tipicamente, vengono definiti costi indiretti quei costi che devono essere imputati all’unità di prodotto in base al procedimento indiretto. Per esempio, i costi di un canale di vendita come l’ammortamento di un impianto dedicato ad una particolare linea di prodotto, ancorché costi specifici della linea in oggetto, sono costi indiretti in quanto imputabili su base unitaria unicamente attraverso il ricorso al procedimento indiretto.
La determinazione della quota di costo indiretto è l’ambito nel quale tendono a differenziarsi, dal punto di vista metodologico, i sistemi di calcolo dei costi.
Possono individuarsi tre differenti approcci che, pur con differenti gradi di analiticità, configurano un’impostazione tradizionale.
1) Orientamento ai fattori produttivi
In base al primo approccio che individua l’orientamento ai fattori produttivi, le singole classi di costo indiretto classificate in base alla loro natura nel sistema informativo contabile (salari indiretti, stipendi, ammortamenti, …) vengono imputate all’unità di prodotto mediante specifiche basi di ripartizione.
Di norma, ai fini di semplificazione del calcolo, si procede al raggruppamento di costi indiretti spesso tra loro eterogenei e all’imputazione di tale aggregato (cost pool) al prodotto in funzione di un unico coefficiente. Questa scelta si giustifica con la necessità di limitare la proliferazione dei coefficienti di imputazione che, in linea teorica, dovrebbero essere tanti quante sono le classi di costo e con la possibilità di individuare tutte le basi di ripartizione necessarie al calcolo.
La prassi, almeno per quanto concerne le aziende manifatturiere, prevede solitamente il ricorso al costo o alle ore di lavoro diretto quale base di ripartizione. Si determina così un coefficiente di costo indiretto facilmente imputabile all’unità di prodotto.
2) Orientamento funzionale
Il secondo approccio adottabile per l’imputazione dei costi indiretti al prodotto rappresenta una variante del primo del quale cerca di sanare le più evidenti semplificazioni provocate dal ricorso ad aggregati di costo indiretti eccessivamente ampi ed eterogenei.
Al fine di assicurare maggiore significatività al calcolo, l’approccio funzionale propone la creazione di aggregati di costo indiretto definiti in base alla loro connotazione funzionale. Si individuano così raggruppamenti di costi indiretti riferibili alla funzione produzione, alla funzione commerciale, alla funzione logistica, alla funzione amministrativa e così via. Per ciascuno di tali aggregati si definiscono quindi un’appropriata base di imputazione ed uno specifico coefficiente di imputazione.
Non si procede dunque all’imputazione al prodotto delle specifiche classi di costo indiretto quali, per esempio, ammortamenti, stipendi e canoni di locazione. Si creano invece aggregati funzionali al cui interno ammortamenti, stipendi e le altre classi di costo indiretto vengono articolate su base funzionale. Articolazione che può essere più o meno spinta a seconda del grado di analiticità che si vuole dare alla misurazione e, soprattutto, della disponibilità e significatività delle basi di ripartizione utilizzabili per imputare ciascun aggregato funzionale.
3) Orientamento alle fasi di produzione
Il terzo approccio per l’imputazione dei costi indiretti al prodotto insiste sull’articolazione dei processi di produzione economica in fasi. Si parla, a tal proposito, di orientamento alle fasi per indicare un metodo che, come nel caso precedente e trovando varianti applicative diverse, prevede due distinti momenti di calcolo.
Il primo riguarda la riclassificazione dei costi indiretti rispetto alle fasi del processo produttivo globale. Si tratta di operare un’aggregazione dei costi rispetto a destinazioni rappresentate dai centri di costo.
Il secondo momento riguarda invece l’imputazione degli aggregati – riferiti ai centri di costo – all’unità di prodotto attraverso coefficienti di imputazione determinati per ciascun centro in funzione di basi di ripartizione ad essi specifici.
Nell’orientamento alle fasi di produzione, i centri di costo costituiscono entità di rilevazione contabile che definiscono la struttura del sistema di contabilità analitica. Rispetto ai centri di costo, di norma modellati in coerenza con la divisione in unità operative e reparti prevista dalla struttura organizzativa, i valori vengono articolati per destinazione. In questo caso la scelta progettuale critica riguarda la definizione del grado di analiticità al quale spingere la rilevazione analitica, cioè fino a quale livello segmentare la struttura in centri di costo.
A tale riguardo si danno di norma scelte differenti procedendo all’articolazione minuta del processo di trasformazione mentre, di solito, non si spezzano le strutture di servizi generali.
La preventiva articolazione dei costi rispetto ai centri di costo consente, in fase di imputazione, di dare il corretto rilievo ai processi di impiego di risorse e di capacità produttive, così come questi si configurano all’interno dei processi di produzione. Le singole fasi del processo possono avere un costo differente in funzione del tipo di risorse impiegate e delle modalità con cui operano. Prodotti diversi possono impegnare diversamente la struttura e quindi assorbire differentemente le risorse.
Il metodo orientato alle fasi consente, almeno in prima approssimazione, di tener conto di queste diversità e di renderle esplicite nella misura di costo unitario di prodotto.
I due metodi precedenti, per contro, operando su aggregati molto ampi e adottando processi di imputazione scarsamente articolati, non consentono di evidenziare tali diversità. Per tale via si fa infatti ricorso a costi medi che, se possono essere opportuni in situazioni in cui prevale l’uniformità sia dei prodotti che dei processi, si rivelano del tutto inadeguati e fuorvianti nel caso si riscontri una forte differenziazione.
A ciò si somma l’effetto distorcente derivante dal fatto di usare come base di ripartizione prevalente le ore o il costo di manodopera diretta.
Se tale scelta è da un lato giustificata dalla disponibilità di tali informazioni e dalla semplificazione indotta sui processi di imputazione, fattori questi che riducono il costo della misurazione, dall’altro si rivela del tutto inadeguata in presenza di tre circostanze specifiche: